Monumento di interesse nazionale : Abbazia di Cava dei Tirreni - Cava dei Tirreni (SA)

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Indirizzo : Via Abate Michele Morcaldi, 6, 84013 Cava De' Tirreni Salerno
Riferimenti: Tel. 089463922 -cell. 347 1946957  e-mail: visiteguidate@badiadicava.it
Sito web: http://www.badiadicava.it/
Legge di istituzione: Legge - 7 luglio 1866 - n. 3036 - GU 187-1866
 
Proprietà: Frati Benedettini
Descrizione Storico Artistica:
1011: Il fondatore dell'abbazia della Santissima Trinità de' La Cava fu sant'Alferio Pappacarbone, nobile salernitano di origine longobarda formatosi a Cluny, che nel 1011 si ritirò sotto la grande grotta Arsicia alle falde del monte Finestra nell'attuale territorio del comune di Cava de' Tirreni, per trascorrervi vita eremitica. Ma Alferio non rimase solo, presto la sua santità attrasse in quel luogo numerosi discepoli, tanto da indurlo ad erigere, sul piano scosceso tra la grotta ed il fiume Selano, una chiesa di discrete dimensioni, e costruire ad occidente della medesima, utilizzando anche fabbriche preesistenti, un piccolo monastero, il nucleo originale dell'odierna abbazia. Le originarie costruzioni e le tracce di fabbriche romaniche risalenti al I secolo d.C. sono ancora in parte visibili nei sotterranei dell'attuale basilica. La fondazione del nucleo monastico è fatta però risalire all'anno 988, perché Alferio non fu il primo abitatore della grotta. Nella grotta Arsicia già dal 988, il monaco di Montecassino Liuzio, detto anche Leone da Ostia, di ritorno da un pellegrinaggio in Palestina, vi aveva soggiornato per qualche tempo. Nel 1025, Alferio aveva da poco terminata la chiesa, quando il principe Guaimario III di Salerno e suo figlio Guaimario IV con un diploma donarono alla nuova comunità la zona boschiva e le terre coltivate tutte intorno alla grotta Arsicia tra il fiume Selano e i due rigagnoli suoi affluenti Sassovivo e Giungolo. Con lo stesso diploma fu conferito alla comunità monastica, tra gli altri privilegi, l'esenzione dalle imposte e la libera designazione degli abati da parte del predecessore o, per elezione, dalla comunità stessa.
 XI-XIII secolo: I primi tre secoli di storia furono splendidi e si accompagnarono con la santità: i primi quattro abati sono stati riconosciuti santi dalla Chiesa (Alferio, Leone I, Pietro I e Costabile), altri otto beati (Simeone, Falcone, Marino, Benincasa, Pietro II, Balsamo, Leonardo, Leone II). Tra di essi si distinse san Pietro I, nipote di Alferio, che ampliò notevolmente il monastero e fondò una potente congregazione monastica, l'Ordo Cavensis (Ordine di Cava), con centinaia di chiese e monasteri dipendenti sparsi in tutta l'Italia meridionale. In tal modo essa estese la sua influenza spirituale e temporale in tutto il Mezzogiorno d'Italia, grazie anche al favore dei principi salernitani che la fecero oggetto della loro benevolenza. Furono più di 3000 i monaci a cui l'abate Pietro diede l'abito. Papa Urbano II, che lo aveva conosciuto a Cluny, nel 1092 visitò l'Abbazia e ne consacrò la basilica. I principi e signori, oltre ad offrire feudi, beni e privilegi, donarono all'abbazia o la proprietà o il diritto di patronato su chiese e monasteri. I vescovi ambivano di avere nelle loro diocesi i Cavensi per il bene che vi operavano. I papi, oltre la conferma delle donazioni, concessero il privilegio dell'esenzione. In questo modo l'abate di Cava de' Tirreni finì per avere una giurisdizione spirituale, dipendente solo dal Papa, sulle terre e sulle chiese di cui la Badia aveva la proprietà. Da parte sua Cava costituiva per i papi un caposaldo di cui potevano fidarsi pienamente, tanto da affidarle in custodia alcuni antipapi.
XIV-XV secolo:  Il XIV secolo rappresenta per la comunità monastica un periodo di ripiegamento su sé stessa. Fu particolarmente curata la difesa e l'amministrazione dei beni temporali, furono prodotte splendide opere d'arte, ma l'incidenza dell'azione spirituale e sociale della badia, anche a causa dei rivolgimenti politici, si esaurì quasi del tutto. Il 7 agosto 1394 papa Bonifacio IX aveva conferito il titolo di città alla terra de La Cava, elevandola a diocesi. Il monastero, non venne più governato da un abate, ma da un priore sottoposto al vescovo e la comunità dei monaci formava il capitolo della cattedrale. Il vescovo che doveva essere un secolare, godeva di tutti i privilegi e di tutti i diritti di un abate regolare sull'abbazia cavense e doveva risiedere alla Badia, la cui chiesa venne dichiarata cattedrale della nuova diocesi. Un nuovo rivolgimento la Badia lo visse nel 1431, quando l'abate Angelotto Fosco fu elevato alla dignità cardinalizia e volle comunque ritenere in commenda, percependone le rendite, l'abbazia e la diocesi cavense. Iniziò, così, il periodo degli abati commendatari. L'abbazia fu tenuta in commenda per oltre settant'anni da abati che non risiedevano abitualmente nel monastero, che affidavano a vicari generali; in alcuni casi i vicari erano anche insigniti di carattere episcopale. Dal 1457 al 1459 fu vicario generale dell'abate commendatario Ludovico Scarampi, Niccolò Forteguerri, imparentato con papa Pio II, che aveva per madre una Vittoria Forteguerri. Nei primi anni i vicari curarono l'amministrazione dei beni e riuscirono a migliorare la gestione dei possedimenti monastici impostata nel 1359 dall'abate Mainiero. La maggior parte dei contratti agrari a medio termine stipulati per la concessione in uso dei propri fondi erano del tipo ad complantandum (pastinato) e per tale motivo con il passare degli anni alcuni possedimenti, come quelli del priorato di Santa Maria di Cursosimum nei pressi di Noja, si ridussero. Negli anni successivi, i fiduciari iniziarono ad utilizzare una nuova forma contrattuale che veniva chiamata pastinatio ad medietatem (una sorta di sottospecie della mezzadria), con cui l'abbazia percepiva la metà dei frutti del terreno, che poteva essere in parte corrisposta in denaro. Ma le cose non andarono meglio. A causa della difficoltà che si riscontravano per il trasporto delle merci al monastero, spesso le derrate venivano valutate in denaro. L'affittuario il più delle volte riusciva a pagare meno del dovuto, raggirando il fiduciario del commendatario, che non conoscendo bene l'entità dei terreni dati in affitto, era portato a credere che la diminuzione di quanto gli veniva corrisposto era in relazione alla scarsità del raccolto. E così, anno dopo anno, le rendite del monastero tendevano a diminuire. Il problema dei minori introiti fu però ben presto arginato sottoponendo a maggiore rigore la verifica dei cespiti, dei redditi e l'esazione dei crediti. I registri redatti durante il governo dei commendatari servirono come veri e propri strumenti di controllo. Risale al periodo del cardinale Scarampi, presumibilmente all'anno 1459, il Liber censum Cavæ contenente la registrazione di una serie di cespiti, con le relative entrate annuali, dislocati nella valle metelliana e classificati per zone omogenee. Un vero e proprio libro dei censi e dei redditi, il Primum regestrum et Inventarium domini Joannis de Aragonia, fu invece scritto da Tommaso de Lippis commissario e procuratore del monastero sotto il governo del commendatario Giovanni d'Aragona. Quando nel 1485 papa Innocenzo VIII conferì la commenda al cardinale Oliviero Carafa, l'abbazia della Santissima Trinità aveva ormai perso il suo antico splendore di virtù e di santità. Nel monastero, nei priorati, nelle parrocchie e nelle chiese più remote i pochi monaci rimasti vivevano senza il rispetto della regola in assoluta libertà ed autonomia. Per l'abbazia della Santissima Trinità de La Cava, così come era già successo per tanti altri monasteri che da tempo versavano nelle stesse condizioni miserande, si rese necessario riformare la regola cenobitica. Il cardinale Oliviero Carafa decise di rinunciare alla commenda e riportò nel monastero benedettino la vita claustrale regolare. Pertanto, il 10 aprile 1497 con bolla di papa Alessandro VI, il monastero cavense fu unito al movimento monastico riformato della Congregazione di Santa Giustina di Padova (detta poi Cassinese). Dopo quasi un secolo di miserie così cessò di esistere l'Ordo Cavensis
 L’annessione dell’abbazia cavense alla Congregazione di Santa Giustina fu in un primo momento voluta ma poi contrastata dal popolo di Cava. I monaci, che avevano ritenuto la giurisdizione episcopale cavense voluta da Papa Bonifacio IX la principale causa dei propri mali, furono essi stessi a chiedere al cardinale Oliviero Carafa di includere, nelle clausole che andava a stipulare per il passaggio dell’abbazia alla congregazione di Santa Giustina, oltre alla sua rinunzia alla commenda, anche la soppressione, alla sua morte, della giurisdizionale del vescovato di Cava. I monaci della congregazione, guidati da dom Bessarione da Cipro, partendo dal monastero di San Severino e Sossio di Napoli, presero possesso dell’abbazia cavense. Ma non fu un possesso pacifico, l’unione fu contrastata da più parti. La Vicaria di Napoli, si intromise sistematicamente nella gestione temporale dell’abbazia mentre, la università della Città de La Cava, che non aveva gradito la clausola della soppressione del vescovato perché ritenuta lesiva del proprio prestigio e diritto della urbs episcopalis cavensis, nel dicembre del 1503, insorgeva contro i monaci. Il contrasto esplose quando l’abate Michele di Tarsia si rifiutò di riconoscere l'impegno in precedenza assunto dall’abate Arsenio di far erigere un nuovo vescovato cavense costituendone la relativa mensa. L’abate Michele ottenne anche dal Papa Giulio II la dichiarazione di revoca e nullità dell'accordo precedentemente stabilito tra l’abate Arsenio e la università de La Cava. Ma i cavesi non si rassegnarono. Il 6 marzo 1507, Mercoledì delle Ceneri, la popolazione capeggiata da Ferdinando Castriota, dalla famiglia Longo e da altri esponenti della università, prendendo a pretesto alcune questioni di pascoli e sfruttamento di boschi sorte con i benedettini, fece irruzione nel monastero e mise a saccheggio le celle e l’appartamento dell’abate. I monaci si rifugiarono nel priorato di Sant’Angelo in Grotta a Nocera Inferiore, mentre la chiesa dell’abbazia venne affidata a dei preti diocesani. Il Nunzio apostolico a Napoli cardinale Niccolò Fieschi, dopo circa 15 giorni, rimise i religiosi nel possesso della badia e scomunicò i cavesi.
XVI-XVIII secolo: nel corso dei secoli XVI-XVIII l'abbazia fu rinnovata anche architettonicamente. L'abate dom Giulio De Palma ricostruì la chiesa, il seminario, il noviziato, e varie altre parti del monastero, ma rimangono ancora cospicui elementi medievali. Importante l'archivio, con circa 15000 pergamene dall'VIII al XIX secolo e la biblioteca che raccoglie, tra l'altro, preziosi manoscritti e incunaboli.
XIX-XXI secolo: la soppressione napoleonica, per merito dell'abate don Carlo Mazzacane, passò senza arrecare gravi danni alla badia: 25 monaci rimasero a guardia dello Stabilimento (tale fu il titolo dato all'abbazia) e il Mazzacane ne fu il direttore. La restaurazione, dopo la caduta di Napoleone, portò a un rinnovamento dello spirito religioso. In seguito alla legge di soppressione del 7 luglio 1867, la Badia fu dichiarata "Monumento Nazionale" e affidata in custodia pro tempore alla comunità monastica salvandosi, in questo modo, dalla rovina a cui andarono incontro tante altre illustri abbazie italiane. Nel 1972 il territorio dell'abbazia si ridusse per la cessione delle 21 parrocchie site nella provincia di Salerno e l'unica in provincia di Potenza alla cura dei vescovi vicini. L'abbazia territoriale subì un'ulteriore ristrutturazione nel 1979, quando il suo territorio fu ridotto a solo 4 parrocchie, con annessa la gestione dei santuari di Maria Santissima Avvocata sopra Maiori, dell'Avvocatella in San Cesareo e di San Vincenzo Ferreri in Dragonea. In forza del decreto Sanctissimae Trinitatis Cavensis della Congregazione per i Vescovi del 20 agosto 2012 le parrocchie delle frazioni di Corpo di Cava e di San Cesareo nel comune di Cava de' Tirreni e quella della frazione di Dragonea nel comune di Vietri sul Mare sono passate sotto la giurisdizione dell'arcidiocesi di Amalfi-Cava de' Tirreni. Il decreto ha avuto esecuzione il 19 gennaio 2013.
Rimane alla comunità monastica, oltre alla cura della cattedrale monastica, anche la cura del santuario della Madonna Avvocata sopra Maiori, di proprietà della badia.  (fonte Wikipedia)
 
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Il Monumento e il territorio:
 
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